In finanza, è detto euromercato il mercato in cui operatori provenienti da Paesi diversi scambiano attività (finanziarie e
monetarie) il cui valore è espresso in valuta estera rispetto a quella nazionale del Paese in cui tali scambi hanno luogo.
Sull’euromercato di Londra, per esempio, si scambiano obbligazioni denominate in tutte le principali valute straniere,
esclusa ovviamente la sterlina che è moneta nazionale.
Nonostante che l’uso abbia esteso l’accezione del prefisso euro fino a ricomprendere qualunque mercato in cui siano
trattate attività denominate in valuta differente rispetto alla divisa che ha corso legale nello Stato di riferimento, il mercato è veramente euro soltanto se si trova in uno dei Paesi europei. Altrimenti sarà asiatico, africano, e così via.
In generale, si può dire che ciascuno di essi costituisce uno xenomercato o mercato esterno. La preminenza del prefisso
euro tuttavia si spiega con il fatto che esso costituisce il più vecchio degli xenomercati: le sue origini risalgono infatti ai
prestiti in dollari accordati dagli americani agli Stati europei per attivare il processo di ricostruzione post-bellica alla
fine della Seconda Guerra mondiale.
Lo scambio tipico che ha luogo sull’euromercato è il prestito: il cambio di valute quindi ne fuoriesce, poiché il negozio
posto in essere è la compravendita.
Le ragioni che spingono gli operatori ad agire sull’euromercato sono sostanzialmente due: la convenienza economica e
il buon nome (standing) che ne riescono a guadagnare.
Il più grande euromercato è a Londra. Su di esso, si scambiano eurodepositi, ossia depositi in eurovaluta, denominati
quindi in una qualsiasi divisa che non sia la sterlina; eurobbligazioni, ossia titoli di credito denominati in una qualunque
moneta diversa da quella inglese; e infine europrestiti. Questi sono concessi dalle grandi banche d’investimento internazionali alle multinazionali che ne fanno domanda.